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Negli ultimi mesi l'imprenditore Masciari è tornato ad avere, nei suoi spostamenti, la scorta delle forze dell'ordine. Il Tar del Lazio gli ha dato ragione rispetto all'"inalienabilità del suo diritto alla sicurezza" e la Commissione centrale del ministero dell'Interno deve procedere con l'attuazione della sentenza. Ci sarà una "capitalizzazione" concordata della sua condizione di testimone: «Teoricamente la sua protezione potrebbe durare per sempre - assicura l'onorevole Alfredo Mantovano, sottosegretario al ministero dell'Interno con delega per le materie di competenza del dipartimento di Pubblica sicurezza -. A scadenza periodica l'Autorità giudiziaria verificherà se i rischi persistono, rinnovando nel caso la protezione». Rischi gravi e incertezza profonda che oggi opprimono Masciari. Il 21 luglio scorso, sul davanzale dell'ex sede della ditta di costruzioni di Pino (attualmente ufficio legale del fratello), a Vibo Valentia, è stato ritrovato un ordigno inesploso. Il 19 agosto l'abitazione in località segreta nella quale risiede Masciari con la famiglia è stata violata. In questo caso si è trattato probabilmente di ladri comuni (cosa comunque gravissima, a riprova della vulnerabilità cui sono soggetti), nel precedente è stata invece la 'ndrangheta, che ricorda di non avere fretta. Una conferma che il sistema di protezione "a tempo determinato" è una sconfitta per lo Stato. Come insegna la vicenda di un altro testimone di giustizia: Domenico Noviello, di Castel Volturno. Nel 2001 coraggiosamente ha denunciato e fatto arrestare i suoi estorsori. Fino al 2003 è rimasto sotto scorta. Nel maggio 2008, sette anni dopo la denuncia, mentre andava al lavoro da solo, è stato massacrato con venti colpi di pistola, l'ultimo dei quali alla testa.
«Ma questo Stato ha mai avuto la volontà di combattere le mafie? - mi domanda Masciari, quasi urlando, durante l'intervista, nella località segreta dove lo andiamo a trovare -. Lo Stato non può mortificare così i suoi servitori. Bisogna ritrovare la giusta strada. Masciari non può essere l'eccezione. Io oggi non posso lavorare. Ma lo Stato, in questi anni, mi doveva obbligare a tornare a fare l'imprenditore, per dare coraggio agli altri che vorrebbero denunciare e non trovano la forza. In Calabria c'è tanta gente onesta che ha paura - continua Pino - e dalla paura nascono le "mafiocrazie". Per come ho vissuto, nascosto e isolato, negli ultimi dodici anni, io non so più che cosa sono, se sono un cittadino italia-no, uno straniero o cosa... Ho perso tutto. Ma a chi ha già emesso una sentenza su di me, dico: "Attenti ad ammazzarmi. Ho tanti amici"». l